Video selezioni, aperitivo, mostra.

giovedì 18 febbraio 2010

Playlist a cura di Alessandro Sarri

Noëlle Pujol

Giovedì 18 febbraio 2010, ore 8.00

Il lavoro di Noëlle Pujol si situa costitutivamente nel terrain vague che separa, unendoli, il video e il cinema, il documento e la finzione e in ultima istanza, la stasi e il movimento. Questo moto ctonio e indefinitamente oscillatorio tra lo iato e l’abrasione "disciplinare", instaura in questo modo un regime autofagico che incrina dal di dentro ogni approccio teso ad ipostatizzare ciò che strutturalmente è destinato a rimanere ossimoricamente mutilato nell’inter-dizione. La strategia di Pujol crea, senza soluzione di continuità, un dispositivo d’accerchiamento fruitivo che, alla lettera, dispone la spettatorialità nel luogo senza luogo della propria resa ermeneutica. Si dispone così, diremmo a cose fatte, una specie d’amalgama incoativo ed imparziale che risucchia sotto di sé ogni prensilità visiva e narratologica, non rendendo manifesto altro che la sindrome sintomatologica atta a foderare il punto cieco di una sinestesia inappropriabile e radicalmente inesperita. La forma nei lavori di Pujol genera una forma senza mai giustificarsi in una forma, slittando impermanentemente da una funzione riproduttiva ad una funzione produttiva, da una visione già indicibile ad una visione oramai impensabile. [Alessandro Sarri]

Durante la serata saranno presentati i seguenti lavori:

Le Préparateur, 2006, 37 mn, video

Le Ver, 2006, 12 mn, video

http://noellepujol.free.fr/

Palylist a cura di Katia Baraldi

Persone, eventi, radici: testimonianze /People, events, roots: testimoniancies

Giovedì 4 febbraio 2010 ore 7.30


Questo mio progetto di playlist nasce dalla consapevolezza che stiamo vivendo in un periodo in cui la memoria storica dei grandi eventi si sta perdendo in coincidenza con la graduale e inevitabile scomparsa dei protagonisti che hanno vissuto e subito questa storia. Non è banale qui ricordare che la storia è creata, vissuta e subita dalle persone cosiddette comuni.
Uomini e donne con una loro storia da trasmettere, con identità a volte lacerate e frammentate, che hanno perso drammaticamente le loro radici di provenienza, costretti per vari motivi a lasciare il loro paese d’origine.
E’ la ricerca delle proprie radici il filo conduttore del progetto, una playlist che presenta i lavori di tre donne di età e origini diverse tra loro : Giulia Cilla, Mei Yuan Chan e Laure Keyrouz.
Solo donne, una casualità, ma non una coincidenza poiché da sempre le donne sono le prime a conservare e a trasmettere la storia della propria famiglia, del proprio paese.
Le tre artiste lavorano da anni sui concetti di memoria e identità, spinte da un forte dato biografico e consapevoli della responsabilità politica e sociale dell’arte.
La visione dei lavori sarà accompagnata da un carteggio tra me e le artiste che illustra alcune delle tematiche su cui esse lavorano.
Inoltre al termine della visione il pubblico sarà invitato a un talk con le artiste presenti.
Apre la sequenza "Entre dos aguas" di Giulia Cilla, un essay video in cui l’artista italo-uruguayana percorre a ritroso il viaggio del padre tra la Svizzera e l’Uruguay, intervistando gli amici che hanno condiviso con lui la lotta contro la dittatura che il paese sud-americano subì negli anni ’70. E’ un viaggio per dare voce ai protagonisti di un periodo storico drammatico, presentando uomini e donne comuni che hanno compiuto gesti eccezionali. Ma è anche un viaggio che partendo dalla ricerca delle origini del proprio padre vede la stessa artista ricostruire anche la propria identità.
Percorso che compie anche Mei Yuan Chan, artista di origine cinese con nazionalità taiwanese. Nei due video di Mei Yuan significativi sono il dato autobiografico e la ricerca quasi drammatica di illustrare la tragedia di un paese, la Cina, che ha avuto più di 2.500 persone costrette all’esilio per le proprie scelte politiche. Nel primo video "Casa e Radici" l’artista rientra in Cina per incontrare e conoscere la famiglia del padre, attuando quel viaggio di rientro che il padre rifugiato politico non poté mai compiere.
Nel secondo video "Casa e Radici 2008 Li Yuan" invece l’artista è riuscita ad intervistare un reduce dell’Esercito Nazionale Cinese, un uomo che come il padre dell’artista ha rinunciato a tutto per proseguire il sogno di modificare le sorti del proprio paese e che da questo in qualche modo è stato tradito.
Se per Mei Yuan e Giulia la perdita delle radici e della propria identità di provenienza è stata dettata da fatti storici che hanno coinvolto i loro padri , diverso è per Laure Keyrouz.
L’artista libanese ha vissuto in prima persona la Guerra, ma in questo caso i video che verranno mostrati, parte della trilogia Rinascita, concentrano l’attenzione sulla bellezza del suo paese, un paese diverso da quello mostrato dai mass media. La Keyrouz ricerca nella natura e nella cultura, inscindibili per lei, la propria identità di artista appartenente al mondo arabo e al Libano, in particolare, composto da più culture e identità. Questa riflessione sulla natura conduce l'artista a una rinascita e a creare un tratto di unione tra Occidente e Oriente.

Opere presentate:

Giulia Cilla, "Entre Dos Aguas", (2009), a road video essay , DV'Pal, Colour, 27''.
Mei Yun Chan, "Casa e Radici – 3/7 – Jiang Yu" (2007), artist video, 14’ 19".
Mei Yun Chan ,"Casa e Radici 2008 Li Yuan" (2008), artist video, 6’ 44".
Laure Keyrouz , trilogia "Rinascita":
"Hermit (l'eremita)" artist video, (2008), 3 minuti
"New birth (la rinascita)" artist video,(2008), 4 minuti
"Senza titolo", artist video, (2008), 2 min 30 secondi

giovedì 4 febbraio 2010

Playlist a cura di Domenico Quaranta

Mercoledì 27 gennaio ore 7.30

WHOLE EARTH CATALOGUE

Fondato dallo scrittore americano Stewart Brand nel 1968, Whole Earth Catalogue (WEC) è stato un catalogo di 'strumenti' rispettato come una bibbia dalla generazione della controcultura - vale a dire, da coloro che hanno plasmato il contesto tecno-culturale in cui ci troviamo a vivere. Pubblicato regolarmente fino al 1972 e irregolarmente fino al 1998, è stato 'ucciso' dal successo del World Wide Web, di cui persone come Steve Jobs (fondatore di Apple) e Kevin Kelly (fondatore di Wired) vedono in esso un anticipatore. WEC era concepito come 'uno strumento di valutazione e di accesso' che intendeva portare potere e conoscenza alle persone. Proponeva eccellenti recensioni di libri, mappe, riviste di settore, corsi e lezioni, insieme a oggetti di ogni tipo, dagli attrezzi da giardinaggio ai computer. Chiunque poteva contribuire.

Come i recensori del Whole Earth Catalogue, gli artisti di questa mostra contribuiscono regolarmente a una risorsa condivisa; come loro, amano i loro strumenti e, come loro, sono interessati a capire il mondo nel suo complesso. Ciò che è cambiato, nel frattempo - e in gran parte grazie alla generazione del World Earth Catalogue - è il mondo stesso. Gli artisti - e noi con loro - vivono in un mondo in cui i media non si limitano a riprodurre o a simulare, come dice Baudrillard, il reale: lo plasmano, gli danno forma, contribuiscono ad esso, a volte costruiscono mondi paralleli in cui possiamo trascorrere il nostro tempo. Riprogrammano il modo in cui viviamo, pensiamo, produciamo e fruiamo cultura, mangiamo, dormiamo, moriamo. E in cui pensiamo a dio.

Questi artisti usano semplici strumenti e trucchi di editing per commentare lo stato attuale dell'immagine, per parlare di se stessi, per modificare materiale trovato e arricchirne il significato; esplorano culture e pratiche per campionarle, remixarle e commentarle; abusano delle tecnologie che usano; esportano metafore, pratiche, estetiche e narrazioni in altre situazioni. Questo può suonare strano per chi non viva nella loro stessa fetta temporale - ma, per favore, non chiamateli formalisti. Non lavorano con un medium: lavorano in una realtà ampliata dai media. Sono realisti, nel solo modo in cui il termine realismo può avere un senso oggi.

Questo peculiare realismo può portare alcuni di loro a ritornare a quando tutto è iniziato. Come è noto, le droghe psichedeliche hanno avuto un ruolo importante agli inizi della cultura digitale. Without Sun, di Brody Condon, è un mesh-up di video reperibili in rete che hanno come protagonisti individui affetti da una sostanza psichedelica. Perché mettono in rete questo materiale? Non hanno, queste esperienze extracorporee, una relazione con altre forme oggi comuni di proiezione identitaria, come i videogiochi online? Alcuni artisti, come Cory Arcangel e Oliver Laric, sono interessati alle conseguenze concettuali delle tecnologie, al modo in cui riprendono e attualizzano alcune preoccupazione centrali della nostra cultura; altri, come il duo AIDS-3D, guardano a come le tecnologie stanno influenzando in maniera crescente la nostra vita spirituale. Vogliono, come dicono loro, 'rendere visibile la magia intangibile della tecnologia'. Non necessariamente attraverso di essa: il video di Constant Dullart, ad esempio, traduce l'animazione di caricamento di Youtube in una suggestiva, ipnotica scultura usando la luce e palle di styrofoam.

Questo interesse per la magia e la trascendenza è condiviso da diversi altri artisti in mostra, da Petra Cortright a Damon Zucconi, da Harm Van den Dorpel a Martin Kohout. Nelle loro mani, un filtro video può diventare il modo migliore per esplorare la consistenza del mondo esterno, e di noi stessi. Può diventare il modo migliore per conoscere meglio il mondo in cui viviamo, qualsiasi senso diamo a questa parola.

Playlist a cura di Federica Bueti

Giovedì 21 gennaio ore 7.30

At Least, You will see the space in between

Il progetto cerca di guardare all'immagine senza immagine, il vuoto che ha affascinato diversi artisti/intellettuali fin dagli esordi del cinema e che torna oggi di grande attualità in un discorso sulla cultura contemporanea, in cui l'immagine ha perso la propria capacità persuasiva lasciando il posto ad un assenza il cui significato non è lo svuotamento di significati, ma al contrario una pienezza, la somma di una moltitudine di frammenti e temporalità diverse, che invece di disturbare spinge a riflettere.
Lo schermo nero è così una sospensione della realtà per come la vediamo, non però per come ci è dato di immaginarla, di indagarla, di analizzarla e scoprirla nuovamente. Lo schermo nero è una pausa che apre la riflessione, temporalità privilegiata priva di corpo.
Spesso l'immagine nera dello schermo è accompagnata dalla narrazione verbale.
L'uso del linguaggio, spiega ancora una volta, il potenziale immaginativo dell'anti-oggetto, il linguaggio performa la realtà permettendo la definizione di un'immagine mentale articolata,in cui l'assenza determina una diversa consapevolezza dal reale.
L'immagine nera diventa lo spunto per parlare del tempo e lo spazio così come vengono vissuti e elaborati dalla realtà culturale contemporanea.
Il progetto infatti mostrerà alcuni lavori di artisti che hanno accettato la sfida dell'immagine vuota e hanno riflettuto su di essa e verrà seguita da una discussione più articolata che cercherà di percorrere la realtà contemporanea mettendo in luce un più adeguato e complesso concetto di temporalità.
Video di: Chris Marker, Tony Conrad, Hans Richter, Guy Debord, Michael Snow, James Benning, James Withney, Derek Jarman.

Playlist a cura di Caterina Riva e Francesca Boenzi

Giovedì 17 dicembre ore 8.30

Con estratti da Kenneth Anger, Maya Deren, Guy Maddin, Derek Jarman, Harun Farocki, Clemens von Wedemeyer, Owen Land. Ganzfeld è una parola tedesca che significa ‘campo totale’ ma che si riferisce anche ad una prova di telepatia condotta negli anni ‘70 dal parapsicologo americano Charles Honorton. L’esperimento consisteva nell’isolare sensorialmente un soggetto apponendogli due mezze palline da ping pong sugli occhi e una cuffia che emetteva rumore di fondo nelle orecchie. In queste condizioni il soggetto doveva recepire informazioni o immagini inviate attraverso il pensiero da un altro soggetto che si trovava in un altro ambiente.
- Sono andata a vedere White Ribbon di Haneke e' molto bello. Tu l'hai visto?
- Non ancora, ma andrò a vederlo. Tra l’altro avevo pensato di mettere un estratto da un suo film nella nostra
playlist…
- Siamo davvero telepatiche
La costruzione di questa playlist è avvenuta come uno scambio di informazioni e immagini che ha assunto a tratti della connotazioni telepatiche. Nel momento in cui il soggetto A invia un video a B, B risponde in modo non dissimile da come avrebbe risposto A.
- Come sempre siamo sulla stessa lunghezza d'onda. Io amo molto Jarman e il seguito che ti volevo proporre era appunto Maya Deren... ora penso al seguito.
Lo scambio dei video ha determinato un sistema di associazioni che sono andate a toccare alcuni dei riferimenti estetici, intellettuali, culturali, politici che condividiamo. Queste associazioni sono però difficilmente spiegabili. Il processo è intuitivo e a volte l’intuizione vale più di qualsiasi sistema complesso di
relazioni basato sulla conoscenza sensibile, sul ragionamento e soprattutto sulla coerenza interna. Il risultato è, a volte, sorprendentemente coerente e altre volte disarmante per la sua incoerenza. Tuttavia riteniamo questa dialettica interna scandita da contraddizioni uno spunto interessante per mantenere sempre viva la discussione, il dialogo e lo scambio.

Playlist a cura di Saretto Cincinelli

Venerdì 11 dicembre ore 7.30

La Playlist si alimenta dalle tre successive edizioni de L’evento immobile curate con Cristiana Collu (Contrattempi, 2007; Incantamenti, 2008; Lo sguardo ostinato, 2009) le prime due promosse dal Man di Nuoro e dal festival L’Isola delle storie di Gavoi e la terza coprodotta dal Man e da Casa Masaccio, San Giovanni Valdarno. Configurandosi in larga parte come una video-esposizione, l’appuntamento annuale de L’evento immobile scava dentro al mutevole territorio di confine, che mantiene in stretta relazione cinema video e arti plastiche, cercando di circoscrivere e declinare topoi e figure, la cui crucialità è testimoniata dalla persistenza con cui ritornano a imporsi all’attenzione in stagioni diverse e significative della ricerca contemporanea e il cui remoto baricentro pare riconducibile all’oscillazione fra fisso e animato che, sia pur secondo una linea carsica e segnata da profonde modificazioni, conduce dalle pionieristiche ricerche di pre-cinema alla nascita del video sino alle ricerche contemporanee.
Proponendo opere che, sulla scia di Ruggero Pierantoni, potremmo definire in bilico tra “forma fluens” e “fluxus formae”, L’evento immobile cerca di approfondire l’idea di un incantamento della visione che si realizza tramite la messa in primo piano di una dimensione in meno dell’immagine: una dimensione che, venendo a mancare, finisce per ripercuotersi après coup sulle aspettative dello spettatore e sull’espressività di opere che si sottraggono volontariamente all’eloquenza e alla prevedibilità spettacolare di gran parte dell’attuale linguaggio visivo, opere che, paradossalmente, guadagnano -come in un gioco in cui chi vince perde- dall’economia che le caratterizza, un’economia che finisce per restituire loro un surplus di presenza.


Nel contesto delle tre edizioni sono state proposte oltre ad opere plastiche di: Cristiane Löhr, Carlo Guaita, Andrea Santarlasci, Ane Mette Hol, Cristiana Palandri opere video e cinematografiche di: Etienne-Jules Marey, Walerian Borowczyk, Jorge Molder, Mark Lewis, Ange Leccia, Daniela De Lorenzo, Yael Davids, Adrian Paci, Carlos Garaicoa, Sejla Kameric, Paolo Meoni, Cyprien Gaillard, Guido van der Werve, Sophie Whettnall, Massimo Barzagli/Luisa Cortesi, Luca Rento, Kan Xuan, Emanuele Becheri, Carl Michael Hausswolf/Tomas Nordanstad, Farid Rahimi, Sabrina Mezzaqui, Hans Op De Beck, Rossella Biscotti, Ursula Mayer, Patrick Jolley/Rebecca Trost/Inger Lise Hansen.


L’attuale Playlist, ancora in corso di definizione, riproporrà opere già presentate nel contesto delle varie edizioni de L’evento Immobile, l’unica eccezione è rappresentata da Mizuno Katsunori un giovane autore giapponese (1982), proposto per la prima volta in Italia nella mostra Il dio delle piccole cose curata da Pier Luigi Tazzi, la cui opera avrebbe potuto figurare nel contesto di una delle edizioni de L’evento immobile.


Fra le opere: Etienne-Jules Marey: materiali d’archivio; Walerian Borowcyzyk: Renaissance, 1963; Daniela De Lorenzo: Dammi il tempo!, 2007 (frammenti dalla videoinstallazione multicanale); Paolo Meoni; Unbend, 2006; Kan Xuan: In focus out focus, 2007; Emanuele Becheri: Temporale, 2009; Mizuno Katsunori: Monotone, 2005 …

Playlist a cura di Francesca Referza

Giovedì 10 dicembre ore 7.30

Fonti involontarie
Le fonti involontarie, nella ricerca storiografica, sono costituite da ciò che il passato ci ha lasciato non intenzionalmente. Sono paragonabili ad indizi che trasmettono o suggeriscono informazioni, magari incomplete e frammentarie, come sono appunto gli indizi. Le fonti involontarie, o "avanzi", sono dunque in grado di fornire solo testimonianze indiziarie ed incomplete.

Il paradigma Indiziario (2009) di Meris Angioletti, Shooting on the Dam (2005) di Rossella Biscotti, Untutored Eye (2005) di Armando Lulaj, Piazza Plebiscito (2000- 2007) di Giulia Piscitelli sono in modo diverso fonti involontarie. Parlano di storie contemporanee e di città diverse (Milano, Amsterdam, Tirana e Napoli), ma lo fanno usando degli "avanzi", degli sguardi parziali, deformati, poco decodificabili, volutamente ambigui o addirittura fuori fuoco. Verità e finzione si mescolano e, conseguentemente, pongono lo spettatore in uno stato di tensione. L’obiettivo, dall’altra parte, non è arrivare a capire quale sia, dato un certo evento, un certo luogo, una certa atmosfera, la verità (che tra l’altro non esiste in assoluto, tantomeno applicata alla storia), quanto, piuttosto, generare dubbi e, conseguentemente, domande. Se poi le risposte non si troveranno, poco importa.

Quando mi è stato chiesto di realizzare un video su Milano ho deciso di rivolgere la mia attenzione ai sotterranei della città. È attorno a quest’idea del non vedere, dell’impossibilità di vedere che ruota questo lavoro. Sono questi luoghi bui e non agibili, in cui proiettiamo delle storie. Nella fase di ricerca delle testimonianze ho scelto, infatti, di raccogliere i racconti di persone che in realtà non avevano mai visto nitidamente questi luoghi. Nessuna di queste informazioni era verificabile dall’osservatore. Quello che fa il Paradigma Indiziario è di risalire a ciò che non possiamo esperire direttamente, attraverso una serie di tracce secondarie e questa metodologia è applicabile non solo alla storia, ma anche alla psicologia. Per questo motivo la voce iniziale è quello di una psicologa, è un’induzione non direttamente ipnotica, ma un rilassamento guidato, che può attivare la parte destra del cervello e facilitare il contatto una serie di immagini mentali. In questo senso sintomi psicologici e tracce storiche sono paragonabili. Questa voce, inoltre, nel suo essere così "cinematografica" è un esperimento sul coinvolgimento dello spettatore, un modo di attivare una visualizzazione attiva anziché passiva da parte dello spettatore. Come indizi o tracce sono sviluppate anche le voci che sono disseminate nel video. Cercando le testimonianze, ho iniziato a lavorare nei dintorni di Gorla, perché è una zona in cui ci sono tuttora molti rifugi sotterranei, per cui c’è una realtà sotterranea abbastanza definita. Da lì è partito questo meccanismo per cui mi venivano di volta in volta indicate altre persone che potevano propormi altre testimonianze. Ogni voce è diventata così la traccia da seguire per la testimonianza successiva. Questo modo di procedere assomiglia molto anche all’azione del detective, che, secondo lo stesso Carlo Ginzburg, diventa il terzo personaggio coinvolto nel paradigma indiziario: lo storico, lo psicologo e il detective. (Meris Angioletti)

Shooting on the Dam e’ un video dove finzione e realtà si intersecano. Infatti la maggior parte di "teste parlanti" non hanno vissuto personalmente l’accaduto, la maggior parte di loro non era ancora nata nel 1945, ma l’hanno studiato attraverso una serie di incontri che ho organizzato sull’argomento. Nel video li ho intervistati mettendo su una specie di servizio televisivo e loro rispondevano come fossero dei testimoni oculari. La compresenza di veri testimoni oculari nello stesso video, che tuttavia non ricordano o si perdono nelle descrizioni di dettagli non rilevanti, crea uno slittamento temporale e mette in dubbio anche la veridicità dell’evento. E’ un fatto avvenuto ora? E’ un evento passato o finzione? (Rossella Biscotti)

In tutti i cimiteri dell’Albania c’è una spaventosa crescita della mortalità a partire dal 1997. Nella maggioranza dei casi sono ragazzi giovanissimi. Il ‘97 è stato un anno molto difficile per l’Albania, ma molto proficuo per la corruzione e per i tanti Arturo Ui. Per i politici interni ed esterni, per il commercio delle armi, la prostituzione e per la droga. Non volevo farne un documentario, né un film dove si incriminavano tutti, anche se dichiaro che è una grande sfida che da tanti anni mi stuzzica. Fare un film sull’anno nero: lo potrei intitolare: 1997, Fuga dall’Albania! Tanti registi giovani ci hanno provato a presentare qualcosa sulle vicende del 1997, ma sembra che tutte le porte si chiudono quando inizi a cercare fondi e del materiale su quell’anno. Tutto è stato sequestrato! Ai registi si dice. - "Andate a trovare l’arte da qualche altra parte, noi non finanziamo film politici, ma film artistici. L’arte non ha niente a che fare con la politica" Questo è un grande non senso.. Chi dice queste parole è gente che fino a ieri interpretava nel teatro comunale "I Persiani" di Eschilo e "L’irresistibile ascesa di Arturo Ui" di Brecht. I Persiani, è la prima tragedia che documenta una guerra e la seconda è un’opera che mette a nudo l’ascesa dei vari Hitler nella storia. (...) In Albania si dice che la legge è qualcosa di molto sensibile, come la milza; non la si può prendere a pugni, altrimenti è la morte! Con Untutored Eye, volevo mettere in scena la struttura della sceneggiatura di cui parlavo prima. Utilizzando questo concetto di occhio incolto e senza legge, come l’occhio di un neonato che con l’atto di vedere il mondo per la prima volta lo violenta; l’occhio incolto dell’occidente invece ne violenta in senso stretto culture e paesi interi, calpestando ogni cosa che non attiri il piano stabilito dal sistema. É come il detto: "La sporcizia va trattata con tutto il rispetto, ma le cose pulite si possono tranquillamente sporcare". Volevo documentare in un certo senso tutta questa violenza che ci si è rovesciata davanti con una potenza micidiale. Così presi una piccola telecamera e la misi dentro un pallone da basket americano del NBA. Poi rovesciai il pallone per tutte le stradine del cimitero. Le immagini vedono, toccano, documentano. Appaiono dei fantasmi reali e immaginari. Si formano dei pixel che formano delle conseguenze, finché alla fine la telecamera, subendo un colpo, si rompe. Non risponde più a nessun comando e genera immagini a suo piacere. La telecamera impazzì! (Armando Lulaj)

Pieno inverno, di notte, un giro di videocamera riprende la piazza vuota nel suo splendore di facciata: il palazzo del re, la chiesa del signore, il palazzo della prefettura, il palazzo dell’esercito; un luogo dove tutto è sotto il controllo di una telecamera, ma non è quella dell’artista ma delle forze dell’ordine. Un motorino in movimento, l’ordine è al rovescio, l’occhio mette a fuoco una macchina ferma, le quattro luci lampeggiano, l’occhio si avvicina all’abitacolo dove c’è una persona, fuori e sulla portiera una macchia rossa: vino, pittura? Performance, vita? (Giulia Piscitelli)