Giovedì 10 dicembre ore 7.30
Fonti involontarie
Le fonti involontarie, nella ricerca storiografica, sono costituite da ciò che il passato ci ha lasciato non intenzionalmente. Sono paragonabili ad indizi che trasmettono o suggeriscono informazioni, magari incomplete e frammentarie, come sono appunto gli indizi. Le fonti involontarie, o "avanzi", sono dunque in grado di fornire solo testimonianze indiziarie ed incomplete.
Il paradigma Indiziario (2009) di Meris Angioletti, Shooting on the Dam (2005) di Rossella Biscotti, Untutored Eye (2005) di Armando Lulaj, Piazza Plebiscito (2000- 2007) di Giulia Piscitelli sono in modo diverso fonti involontarie. Parlano di storie contemporanee e di città diverse (Milano, Amsterdam, Tirana e Napoli), ma lo fanno usando degli "avanzi", degli sguardi parziali, deformati, poco decodificabili, volutamente ambigui o addirittura fuori fuoco. Verità e finzione si mescolano e, conseguentemente, pongono lo spettatore in uno stato di tensione. L’obiettivo, dall’altra parte, non è arrivare a capire quale sia, dato un certo evento, un certo luogo, una certa atmosfera, la verità (che tra l’altro non esiste in assoluto, tantomeno applicata alla storia), quanto, piuttosto, generare dubbi e, conseguentemente, domande. Se poi le risposte non si troveranno, poco importa.
Quando mi è stato chiesto di realizzare un video su Milano ho deciso di rivolgere la mia attenzione ai sotterranei della città. È attorno a quest’idea del non vedere, dell’impossibilità di vedere che ruota questo lavoro. Sono questi luoghi bui e non agibili, in cui proiettiamo delle storie. Nella fase di ricerca delle testimonianze ho scelto, infatti, di raccogliere i racconti di persone che in realtà non avevano mai visto nitidamente questi luoghi. Nessuna di queste informazioni era verificabile dall’osservatore. Quello che fa il Paradigma Indiziario è di risalire a ciò che non possiamo esperire direttamente, attraverso una serie di tracce secondarie e questa metodologia è applicabile non solo alla storia, ma anche alla psicologia. Per questo motivo la voce iniziale è quello di una psicologa, è un’induzione non direttamente ipnotica, ma un rilassamento guidato, che può attivare la parte destra del cervello e facilitare il contatto una serie di immagini mentali. In questo senso sintomi psicologici e tracce storiche sono paragonabili. Questa voce, inoltre, nel suo essere così "cinematografica" è un esperimento sul coinvolgimento dello spettatore, un modo di attivare una visualizzazione attiva anziché passiva da parte dello spettatore. Come indizi o tracce sono sviluppate anche le voci che sono disseminate nel video. Cercando le testimonianze, ho iniziato a lavorare nei dintorni di Gorla, perché è una zona in cui ci sono tuttora molti rifugi sotterranei, per cui c’è una realtà sotterranea abbastanza definita. Da lì è partito questo meccanismo per cui mi venivano di volta in volta indicate altre persone che potevano propormi altre testimonianze. Ogni voce è diventata così la traccia da seguire per la testimonianza successiva. Questo modo di procedere assomiglia molto anche all’azione del detective, che, secondo lo stesso Carlo Ginzburg, diventa il terzo personaggio coinvolto nel paradigma indiziario: lo storico, lo psicologo e il detective. (Meris Angioletti)
Shooting on the Dam e’ un video dove finzione e realtà si intersecano. Infatti la maggior parte di "teste parlanti" non hanno vissuto personalmente l’accaduto, la maggior parte di loro non era ancora nata nel 1945, ma l’hanno studiato attraverso una serie di incontri che ho organizzato sull’argomento. Nel video li ho intervistati mettendo su una specie di servizio televisivo e loro rispondevano come fossero dei testimoni oculari. La compresenza di veri testimoni oculari nello stesso video, che tuttavia non ricordano o si perdono nelle descrizioni di dettagli non rilevanti, crea uno slittamento temporale e mette in dubbio anche la veridicità dell’evento. E’ un fatto avvenuto ora? E’ un evento passato o finzione? (Rossella Biscotti)
In tutti i cimiteri dell’Albania c’è una spaventosa crescita della mortalità a partire dal 1997. Nella maggioranza dei casi sono ragazzi giovanissimi. Il ‘97 è stato un anno molto difficile per l’Albania, ma molto proficuo per la corruzione e per i tanti Arturo Ui. Per i politici interni ed esterni, per il commercio delle armi, la prostituzione e per la droga. Non volevo farne un documentario, né un film dove si incriminavano tutti, anche se dichiaro che è una grande sfida che da tanti anni mi stuzzica. Fare un film sull’anno nero: lo potrei intitolare: 1997, Fuga dall’Albania! Tanti registi giovani ci hanno provato a presentare qualcosa sulle vicende del 1997, ma sembra che tutte le porte si chiudono quando inizi a cercare fondi e del materiale su quell’anno. Tutto è stato sequestrato! Ai registi si dice. - "Andate a trovare l’arte da qualche altra parte, noi non finanziamo film politici, ma film artistici. L’arte non ha niente a che fare con la politica" Questo è un grande non senso.. Chi dice queste parole è gente che fino a ieri interpretava nel teatro comunale "I Persiani" di Eschilo e "L’irresistibile ascesa di Arturo Ui" di Brecht. I Persiani, è la prima tragedia che documenta una guerra e la seconda è un’opera che mette a nudo l’ascesa dei vari Hitler nella storia. (...) In Albania si dice che la legge è qualcosa di molto sensibile, come la milza; non la si può prendere a pugni, altrimenti è la morte! Con Untutored Eye, volevo mettere in scena la struttura della sceneggiatura di cui parlavo prima. Utilizzando questo concetto di occhio incolto e senza legge, come l’occhio di un neonato che con l’atto di vedere il mondo per la prima volta lo violenta; l’occhio incolto dell’occidente invece ne violenta in senso stretto culture e paesi interi, calpestando ogni cosa che non attiri il piano stabilito dal sistema. É come il detto: "La sporcizia va trattata con tutto il rispetto, ma le cose pulite si possono tranquillamente sporcare". Volevo documentare in un certo senso tutta questa violenza che ci si è rovesciata davanti con una potenza micidiale. Così presi una piccola telecamera e la misi dentro un pallone da basket americano del NBA. Poi rovesciai il pallone per tutte le stradine del cimitero. Le immagini vedono, toccano, documentano. Appaiono dei fantasmi reali e immaginari. Si formano dei pixel che formano delle conseguenze, finché alla fine la telecamera, subendo un colpo, si rompe. Non risponde più a nessun comando e genera immagini a suo piacere. La telecamera impazzì! (Armando Lulaj)
Pieno inverno, di notte, un giro di videocamera riprende la piazza vuota nel suo splendore di facciata: il palazzo del re, la chiesa del signore, il palazzo della prefettura, il palazzo dell’esercito; un luogo dove tutto è sotto il controllo di una telecamera, ma non è quella dell’artista ma delle forze dell’ordine. Un motorino in movimento, l’ordine è al rovescio, l’occhio mette a fuoco una macchina ferma, le quattro luci lampeggiano, l’occhio si avvicina all’abitacolo dove c’è una persona, fuori e sulla portiera una macchia rossa: vino, pittura? Performance, vita? (Giulia Piscitelli)
Video selezioni, aperitivo, mostra.
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