Video selezioni, aperitivo, mostra.

mercoledì 25 marzo 2009

Playlist a cura di Emanuela Nobile Mino

A KIND OF MAGIC
a cura di Emanuela Nobile Mino

La grande innovazione insita nella scoperta e nell’attuazione dell’immagine in movimento sta, secondo Bill Viola, nel fatto che il video per default comporta ed esige non la semplice attenzione o presenza fisica ma il coinvolgimento diretto, sensoriale dello spettatore, sviluppando con questo un rapporto 1:1 e agendo, più che qualsiasi altra forma di rappresentazione, sulle capacità percettive di chi osserva, soprattutto quando mette in scena realtà innaturali, immaginifiche o presenta riproduzioni artificiali e artificiose in grado di provocare un ribaltamento del senso di realtà, scatenando inevitabilmente reazioni differenti nei singoli soggetti.

L’immagine in movimento ha di fatto, fin da principio, restituito all’uomo la possibilità di liberare quell’istinto congenito di indagare la sfera che si interpone tra la realtà contingente e quella assoluta, spirituale, ignota. Fornendogli una concreta opportunità di ipotizzarla rappresentandola nei modi più vari, muovendosi agilmente su quella linea d’ombra che separa, senza demarcarle, realtà e irrealtà.

Il video ha incarnato l’opportunità di dare corpo e rendere condivisibili visioni individuali, oniriche, mentali e ha contribuito a caricare non solo la prefigurazione fantastica del futuro dei significati e delle valenze più varie, il più delle volte fornendo anticipazioni in grado di iscriversi nella mente dello spettatore attraverso espedienti ottici e manipolazioni iconografiche di grande suggestione; ma ha anche concorso ad attribuire al tempo presente una sua possibile altra estensione, coeva e parallela, in una meta-realtà, esteticamente credibile.

Questo tipo di escamotages tecnico/estetici propri del cinema come del video, insomma le potenzialità dell’immagine in movimento, sono oggi più che mai acquisiti e la loro applicabilità abbondantemente sperimentata, tanto che il termine virtualità non suscita più alcun infervoramento.

A Kind of Magic playlist si fonda proprio su questo assunto e intende di proposito concentrarsi e creare un percorso - volutamente un po’ sbilenco, poco lineare e per forza di cose lacunoso - attraverso alcuni diversi esempi di visual trickery costruiti attraverso l’impiego di low technology. Ovvero declinazioni video che si articolano in storyboards in grado di far insorgere nello spettatore il senso di meraviglia, di illusione e di incanto, nonostante il carattere semplicistico-sperimentale o l’inclinazione pauperistica della loro struttura dovuta sia al mancato utilizzo di espedienti tecnologici altamente avanzati (necessariamente negli estratti storici, intenzionalmente nei lavori più recenti), che all’ambiguità stessa dell’immagine. Dimostrando come sia possibile suscitare emozione e interrogativi e produrre significato attraverso la manipolazione seppur minima dell’immagine, con un inganno ottico dato una particolare giustapposizione di luci, con una anomala sovrapposizione di sequenze, con enigmi ottici, con il montaggio. Più o meno quanto avviene in maniera più sofisticata ma altrettanto pura in alcuni lavori tridimensionali (James Turrell, Olafur Eliasson, Anish Kapoor, Leandro Erlich, Thomas Demand, Urs Fisher, Fischli&Weiss, ecc.), la cui visione “via video”, imponendo uno specifico punto di osservazione, riesce a volte ad accentuarne i valori illusionistici (queste tematiche saranno sviluppate ed approfondite nel progetto di mostra che inaugurerò a Praga a novembre 2009).

A Kind of Magic playlist, attraverso video di differente natura, epoca e provenienza, per lo più scaricati da YouTube (spezzoni di film, video d’artista, video clip, documentazioni di mostre, filmati di ignoti, ecc.), pone la questione di come con relativa facilità l’occhio dello spettatore possa essere tradito e messo sotto scacco da effetti anche molto poco speciali, in particolar modo quando un medium si interpone all’esperienza diretta, filtrando il dato reale e restituendolo sotto una data prospettiva in grado di mutarne i connotati sia epidermici che sostanziali.

Concentrandosi sul potere destabilizzante e surprising della rappresentazione, A Kind of Magic riflette sull’ingannevole natura del rapporto interattivo che automaticamente si crea tra visione e percezione, occhio e mente, opera e spettatore, realtà e sogno, materia e fantasma.

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